L'Unità  22 giugno 1975

Una riproposta del lavoro di Alberto Bruni Tedeschi

Diagramma circolare, di Alberto Bruni Tedeschi, che inaugura la breve stagione estiva del Regio, è una « azione scenica» risalente agli anni Cinquanta che esprime le reazioni di un capitalista sensibile ai problemi umani di tutte le classi sociali che gravitano attorno alla fabbrica. Il presidente del consiglio d'amministrazione, alienato dal suo dover perseguire l'efficientismo estraniandosi da ogni altra dimensione («l'industria è due più due fa quattro e non cinque per soddisfare la morale »), si rende responsabile dell’appoggio alla dittatura fascista, ma tutto questo è dovuto a una legge che trascende la sua persona, una legge ferrea a cui tutte le classi sociali devono sottostare, ciascuna recitando un ruolo fatalmente sempre uguale.

La famiglia operaia, che è chiamata a pagare, tutta da sola, le conseguenze di questa ferrea legge ciclica espressa dal diagramma (produzione, superproduzione, crisi, dittatura e armamenti, guerra, rovina, e poi di nuovo produzione, ecc,), condiziona le sue idee al pane che mangia, che purtroppo è scarso e duro da conquistare.

Quando le due parti vengono a confronto, ne nasce una situazione di incomunicabilità, di intraducibilità di linguaggio di organica incapacità di identificarsi nella situazione reciproca. Il conferenziere, elemento neutrale come la scienza, non fa che registrare dei fatti a conforto della teoria, del carattere esterno ed immutabile della legge espressa dal diagramma: le sciagure, dalla grande crisi del '29 alla seconda guerra mondiale, diventano nelle sue mani degli aridi dati in appoggio alla teoria.

L'unica via d'uscita che sa trovare, unendo fìnalmente in un respiro umano la sua voce a quella dei protagonista vivi e morti nel preoccupato finale, é espressa da un appello alla moderazione delle ambizioni ,alla sostituzione dello scatto bellico del diagramma con la «preveggente, altissima ragione ». Già, ma tutto fa pensare che proprio la ragione provi l'ineluttabilità del ciclo del diagramma. E, d'altra parte, l' utilità delle rivoluzioni (a sfondo luddistico secondo gli operai) teorizzata dal presidente e confermata dai fatti, elimina ogni possibilità di speranza, e anche di soluzione razionale che non sia la catastrofica ripetizione del ciclo espresso dal diagramma.

Bruni Tedeschi non è Engels, nè si può pretendere che lo sia.  Rimane la sua sensibilità ai travagli dell' uomo, la sua solidarietà con chi soffre, ma si tratta evidentemente di una componente emozionale e irrazionale, inconciliabile con la ragione; in Diagramma circolare, in definitiva, la dialettica è confinata alla funzione di normativa degli impulsi emotivi, la ragione rimanendo illuministicamente metafisica.

La concezione. concreta del lavoro è quella - assai moderna - di spettacolo totale, nel quale i discorsi vengono condotti realisticamente in prosa, la musica essendo destinata a punteggiare le situazioni con « lamentazioni », corali, e a due trii vocali di soli uomini (le donne qui figurano esclusivamente nella veste di vittime), ora agenti di cambio, ora professori di statistica che soffrirebbero se la guerra non scoppiasse perchè ciò smentirebbe le loro teorie scientifiche, piú alienati ancora di quei burattini del destino che sono i protagonisti.

Diciamo subito che lo spettacolo gira, anche per merito della regia di Filippo Crivelli e della scenografìa dì Gianni Quaranta, che finalmente sfruttano le possibilità offerte dalla modernità dei mezzi a disposizione del teatro, finora, sacrificati a. concezioni tradizionali. Di molta efficacia sono pure i filmati, a cura di Pier Giorgio Naretto e Pasquale D'Ascola.

Sul piano individuale le cose vanno meno bene, Tino Carraro non rinunciando, nella parte del conferenziere, a «dare espressione» alla sua dizione che invece dovrebbe essere distaccata, ferocemente inespressiva. Carlo Hintermann ha un'idea un po' curiosa della classe operaia, e cammina come se fosse preda di etilismo cronico e Lina Volonghi non sa liberarsi da qualche tentazione retorica. Meglio i figli, Gabriele Lavia convincente soprattutto nella scena della morte e Claudia Giannotti in quella della demenza, mentre Enzo Tarascio esprime bene le interne contraddizioni del presidente.

La componente musicale, deliberatamente in funzione di «una fra le tante» (di qui il ripudio della parola «opera»), poggia sull'inesorabilità della percussione, su amare dissonanze degli ottoni e su un uso affettuoso degli archi, e si riconduce alla tradizione inaugurata dallo Stravinski delle Noces ed esaltata negli anni Venti da Hindemith. Nino Sanzogno la pilota bene, tanto nell'inesorabile monotonia dell'insieme quanto nell'individuazione dei particolari. Una particolare menzione merita il coro, istruito da Adolfo Fanfani, suggestivo nei grandi affreschi delle lamentazioni, risolti genialmente anche sul piano scenico. (Carlo Parmentola)